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Libro del mese \\ LA VITA OSCENA

La scia cannibale di Aldo Nove, ci accompagna in una lettura drammatica e passionale della sua vita, tutta stampata nero su bianco nel suo libro "La Vita Oscena" qui recensito.

“Le storie vengono da un luogo lontano dove siamo già stati. Forse non noi. Forse non esattamente noi. Raccontano di prove. Di madri. Di padri. Inizi e morte. E poi di nuovo l’inizio. Come si esce dal fuoco. Come si attraversano le fiamme. Come oltre al fuoco ci sia un’altra luce. Come dietro ogni perdita ci sia una rinascita. Come il mondo continui ad apparirci bello e completamente incomprensibile. Mentre scrivo queste parole. Mentre qualcuno le legge.” Partendo dalla fine. Così inizia “La vita oscena” di Aldo Nove. Una fine annunciata e una morte fulminea: “Mio padre morì all’improvviso, di ictus. Gli sopravvisse mia madre, malata da anni di cancro. […] Sarebbe dovuta morire prima lei. Invece morì lui. Mia madre la prese come un’offesa inimmaginabile.” Partire dalla morte per raggiungere lentamente la vita. Iniziare con il buio, un buio totale, popolato di ombre ed entità che prendendoti per mano, ti fanno strada verso il nulla. Un nulla al sapore di alcool, psicofarmaci, droghe e sesso estremo. Una continua ricerca della morte, in tutte le sue sfumature. “Una volta arrivato lì, ebbi delle incertezze” scrive. “Strinsi comunque un’estremità del groviglio di cravatte a una trave e provai a salire su un sasso. Non ero molto abile nello stringere il cappio e mi venivano in mente delle immagini che non mi sarei aspettato. Una su tutte mi ossessionava. Quella di mia zia che mi preparava da mangiare i sofficini. Provai dolore pensando a mia zia che mi avrebbe cucinato da mangiare per nulla, perché io mi sarei ucciso. Decisi di lasciar perdere e camminai verso la stazione della funivia abbandonata.” La dannata ricerca della morte che porta lo scrittore ad architettare una morte analoga a quella di George Trakl, suo poeta preferito di allora, che si suicidò con un’overdose di cocaina. “C’era scritto sui libri quel quantitativo. Decisi che mi sarei suicidato come lui.” E poi ancora “La cocaina esplose, dentro di me immensa. Ma non la morte. Non fu la morte ad aprirmi le sue braccia.” E poi la discesa negli inferi, in basso, sempre più giù. Un susseguirsi di eventi intrisi di divina oscenità, il sesso estremo come unico mezzo di autoannientamento, la ricerca della morte attraverso di esso, un tunnel fatto di eccitazione, di uomini, di donne, di trans, di vite che si incastrano tra loro, saltando di volta in volta l’une nelle esistenze delle altre. “La vita oscena” è un libro vero, crudo e viscerale, scritto con la consapevolezza di chi ha attraversato le fiamme, e con qualche cicatrice, ne è uscito fuori. Descrive il filo sottile che divide “giusto” da “sbagliato”, filo che lentamente, parola dopo parola, si scioglie, scacciando via i moralismi e lasciando fluire libera la verità di quello che è stato, tra le pagine. “Passarono gli anni. Mi iscrissi a Filosofia. Feci di tutto per dimenticare il mio inferno. Pure, c’era. Era dentro di me. Era la mia guarigione. […] Ma una storia la dovevo raccontare. Questa. Quella che avrei dovuto, voluto dimenticare. L’avrei dovuta ricordare con la massima chiarezza. Nei dettagli. Perché era stata. Perché era una storia.”

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