top of page

di Enrico Marra

Ecco
sono un albero,
tonnellate di legno
di quercia per fare croci;
e questi tarli sono sacrifici pagani:
pago un pegno biblico al suicidio ciclico.
Perché è umana questa rabbia distruttiva,
è un biglietto caro per un treno senza ritorno.
E non me ne frega un cazzo dei vostri sogni interrotti,
dei troppi vetri rotti, dei bar di periferia, quelle sbornie;
o le notti passate nell’incubo di non trovare una vena.
E fanculo a quelli che passano, guardano, giudicano;
è il prezzo da pagare con queste conseguenze care.
Ma l’inconsapevolezza esiste persiste e ti spezza,
aggiunge pregiudizi alla sorte e cerca la morte,la tua;
è una vita di fango tra dolore e schizzi:
una follia degenerante tra le spade e i vizi.
È  sangue sulla strada, pronti alla parata;
una pera dedicata: il Diavolo veste Prada.
Cosa vuoi fare; tu devi pagare il prezzo.
Il tuo odio è il disprezzo del tuo abisso;
i fuochi d’artificio esplodono nel cielo:
e il maleficio regala fiori senza stelo.
E non sei una persona, cosa strana,
la sporca puttana loca senza casa;
i virus ti consumano tutto dentro:
ti colonizzano tra caso e caos.
E si mischiano e riproducono
in questa mescolanza idiota:
della tua stolta vita vuota.

 

di Alessandra Farflug

Qui, al centro del petto
Avevo una ruota e un criceto.
Sinuoso, come un serpente
Ti sei fatto strada,
Stringendo colle tue spire lievi.
Quel che confusi con un abbraccio
Mi tenne con le mani in tasca
E il tepore de i fiati
Mi portò via le scarpe.
Nascosto dietro un reticolo
Di parole da pazzo mite
Tu, l’indiano di campagna,
Hai sollevato lo scalpo
E poi ne hai perso il gusto.
Tu, fiutando altri affari
Mi hai spacciata per morta
E se mi guardi bene
Adesso
Lo sono davvero.

di Gervaso Curtis

Tu non sei il tormento

dei miei occhi bassi

che osservano pasti freddi

su tavole cigolanti

come i freni della mia vita

Tu non sei l’usura

della gioia

che ancora ricordo

su materassi duri

come i pani delle famiglie povere

Tu non sei lo sgomento

dei derubati

che si ritrovano la casa vuota

e bruciano su una fiamma

di un cero senza paraffina

Tu non sei l’intonaco

che cade dalle pareti dell’interrato

come foglie in autunno

ma ora ti sto perdendo

e non dimentico mai di portare con me

i miei occhi bassi

che osservano pasti freddi

su tavole cigolanti

come i freni della mia vita
che avanza in una strada buia

 

di Andrea Labate

Avevi la pronuncia esatta del PERCHÉ

così chiusa e serrata

nel tuo manuale lunare di una realtà stravolta

e non importavano i tuoi

o i miei capelli

cosa decidessero di fare

ma vedevo soltanto estranei uscirsene nel buio

di qualche umida foglia vomitata

e potevo offrirti solo stomaco e sincerità

e non pregavo per nessun cielo acceso

così grande da contenere il cavallo

l’asino e il maiale

quello che dovevo fare

era contare i passi e sentire la fitta

della tua pronuncia sola e triste

nella puzza schizofrenica di un’alba da impiegati.

Contare i passi

con la tua paura che ti strangolassero nel sonno

sul tuo tatuato scempio marchiato a fondo anima

e le lacrime imprigionate nel tuo coito.

Prestare attenzione e lasciar scorrere:

anche le pietre hanno karma:

individuarne i segni, anche di notte.

Please reload

bottom of page